Pubblicato in: Media e comunicazione

L'odio che si annida nel lato oscuro del web

di Aldo 15 dicembre 2009

Lato oscuro del web

Il lato oscuro della rete secondo G. A. Stella

Avrei due cose da dire a Gian Antonio Stella che ha scritto questo pezzo: www.corriere.it/editoriali/09_dicembre_15

La prima: si vede che il web lo legge. Sai, perchè quando mi lamentai che mi aveva “rubato” due pezzi e li aveva messi in due suoi libri, mi scrisse dicendo che lui non aveva tempo per navigare.

Bugia.

La seconda è che ho fatto notte chattando con un architetto che ha in testa un’edilizia eco compatibile e che un governo del terzo mondo gli finanzia il progetto. Appoggiandosi a mie passate esperienze, approfittava delle mie conoscenze per mandare qualche mail a persone competenti che potessero aiutarlo sul campo.

Terza: il pomeriggio ho chattato con una splendida (virtuale) funzionaria della mia ambasciata che mi ha aiutato per alcune pratiche da sbrigare.

Ecco, caro Gianantonio che fai i danè prendendo materiale “aggratis” dal Web e improvvisamente sei caduto da cavallo sulla strada di Damasco del bavaglio agli internauti. Il Web è anche questo. Poi ci sono i cretini, ma ricordi cosa diceva Einstein? E’ la materia prima più diffusa nell’Universo. E vuoi che non ci siano qui, in questi vicoli elettronici?

Suvvia…

ALDO VINCENT

www.giornalismi.info/aldovincent

IL WEB INVASO DA MINACCE E INSULTI

Il lato oscuro della rete

Ma davvero «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchez­ze più grandi che crede», come teorizzò nel 2003 l’al­lora ministro della Giusti­zia Roberto Castelli metten­dosi di traverso alla legge europea che voleva ridefini­re i reati di razzismo e xe­nofobia? Roberto Maroni, vista l’immondizia che tra­bocca online a sostegno dell’uomo che ha scaraven­tato una statuetta in faccia a Silvio Berlusconi (c’è chi si è spinto a scrivere: «Gli doveva rompere il cranio a quel testa d’asfalto!») pen­sa di no. E ha ragione. Se è vero che la nostra libertà fi­nisce là dove inizia la liber­tà degli altri, anche la liber­tà di parola, cioè il bene più prezioso dell’oro in una democrazia, ha un li­mite. Che non è solo il buon senso: è il codice pe­nale.

Ci sono delle leggi: l’ist­i­gazione a delinquere e l’apologia di reato vanno puniti. Uno Stato serio non può tollerare che esista una zona franca dove di­vampa una guerra che quo­tidianamente si fa più aspra, volgare, violenta. Co­me ha spiegato Antonio Ro­versi nel libro «L’odio in Rete», il lato oscuro del web «è popolato da indivi­dui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idio­mi utilizzati, parlano tutti, salvo qualche rara ma im­portante eccezione, il lin­guaggio della violenza, del­la sopraffazione, dell’an­nientamento ». Tomas Mal­donado l’aveva già intuito anni fa: «In queste comuni­tà elettroniche cessa il con­fronto, il dialogo, il dissen­so e cresce il rischio del fa­natismo. Web significa Re­te ma anche ragnatela. Una ragnatela apparentemente senza ragno, dove la comu­nicazione, a differenza del­la tivù, sembra potersi eser­citare senza controllo». Ma più libertà di odio è più de­mocrazia? È una tesi dura da sostenere. E pericolosa. Perché, diceva Fulvio To­mizza, che aveva visto il suo piccolo paradiso istria­no disintegrarsi in una fai­da etnica un tempo inim­maginabile, «devono anco­ra inventarlo un lievito che si gonfi come si gonfia l’odio».

Colpire Internet, dicono gli avvocati di Google de­nunciata per certi video in­fami su YouTube ( esem­pio: un disabile pestato e ir­riso dai compagni) «è co­me processare i postini per il contenuto delle lettere che portano». E lo stesso ministro degli Interni non si è nascosto la difficoltà di avventurarsi in battaglie in­ternazionali contro un gi­gante immenso e impalpa­bile. Peggio, c’è il rischio di far la fine dello scoiattoli­no dell’«Era glaciale»: a ogni forellino che tappa, l’acqua irrompe da un’altra parte. Ancora più rischio­so, però, sarebbe avviare una (giusta) campagna con­tro solo una parte dell’odio online. Trascurando tutti gli altri siti che tracimano di fiele come quelli che im­punemente scrivono d’un «olocausto comunista per­petrato dalla mafia razzista ebraica responsabile dello sterminio di 300 milioni di non ebrei», di «fottuti schi­fosi puzzoni stramaledetti sporchi negri mangiabana­na », di «maledetti zingari immigrati razza inutile sporca da torturare», di re­spingimenti da abolire per­ché «la soluzione a questi problemi è il napalm, altro che rimpatri». Non puoi combattere l’odio se non lo combatti tutto. Andan­do a colpire sia i teppisti razzisti che sputano online su Umberto Bossi chiaman­dolo «paralitico di m.» sia quanti aprono gruppi di Fa­cebook intitolati «Io odio Di Pietro» o «Uccidiamo Bassolino». Mai come sta­volta, però, il buon esem­pio deve venire dall’alto. Occorre abbassare i toni. Tutti.

Gian Antonio Stella 15 dicembre 2009

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